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La creatività connettiva

E’ un intervento uscito su NOVA-Sole24ore e riguarda fondamentalmente azioni di performing media come quella dell’instant blog realizzato per il Festival della Creatività (qui lo trovi linkato in home page, in alto a destra, come iblog) .

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Ecco il testo

La creatività connettiva
Tra i tanti modi per definire la creatività, preferisco quello suggerito dal matematico francese Jules-Henri Poincaré “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. E penso a quanto questo suggerimento sia decisivo per capire il fenomeno del “mash up” in Internet, implementando diverse applicazioni, plugin, su operatività che rilanciano il principio open source nel senso lato del termine.

La questione della creatività non riguarda, infatti, solo l’espressione artistica dei linguaggi ma la capacità di ambientarsi in nuovi contesti, come oggi è quello del web, il nuovo spazio pubblico.

Mi piace pensare che l’intelligenza creativa possa inventare i modi per  antropizzare questo ambiente: dall’esplorazione alla progettazione di nuove relazioni che sollecitino la partecipazione in un contesto popolato da soggetti disposti a comunicare. Il punto cardine è sul come fare di tutto questo comunicare un possibile modello produttivo innervato nello scambio sociale. E’ questa la potenzialità ancora da interpretare di ciò che chiamiamo Società dell’informazione. Anzi, è il modo per  accelerare dei processi (che qui in Italia stagnano) per liberare le opportunità del web 2.0, grazie a cui si sta ridefinendo il concetto di comunicazione, interpretando il senso reale dell’interattività, quella partecipativa.

Su questa idea di creatività connettiva ruota gran parte del Festival della Creatività che dal 23 al 26 ottobre a Firenze, nell’imponente e rinascimentale Fortezza da Basso, dimostrerà come la formula usurata dei festival può rivelarsi come un ecosistema d’informazioni e di relazioni.

In questo senso opererà l’instant blog, il diario web 2.0 del Festival della Creatività. Si tratta di un semplice format di comunicazione pubblica interattiva che vedrà a raccolta non solo i blogger ma diversi focus group composti (oltre che da qualche esperto, tra cui quelli di wikimedia) da spettatori autoconvocati attraverso un evento su Facebook.

L’instant blog sarà utilizzato anche all’interno di alcuni convegni, come quello su “Creatività e Impresa”, con interventi funzionali al dibattito, rilevando le tag più pertinenti e sollecitando la partecipazione al commentario attraverso i mobtag, quei particolari codice a barre che possono essere letti da uno smart-phone, sia per ricevere un testo (la tag cloud dell’evento) sia un link attivo allo specifico post dove commentare.

All’interno del festival ci saranno dei punti d’accesso (visto che il wi fi non è aperto, per logica chiusa dell’ente fiera) che la Fondazione Sistema Toscana ha allestito, come il “punto di sosta e di senso” della Performing Media.teca a cura di Casa Masaccio, dove sarà attivo anche un set per realizzare dei videoritratti dei protagonisti della creatività digitale, allestito da generacomunicazioni.tv, e l’evoluto sistema di “sottoveglianza” AISAC.

Perno del Festival è la sezione Mondi Virtuali che oltre al convegno “Arte solo per avatar?” e a una densa programmazione di eventi propone una mostra importante al Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, “Rinascimento Virtuale”. Un’esposizione che rimarrà aperta fino al 7 gennaio 2009, dove insieme alle tante visioni prodotte negli ambienti 3D di Second Life, apre una finestra prospettica sul social ed interaction design, ambito che espande le proprietà della  creatività connettiva.

carloi said,

maggio 2, 2009 @ 13:17

da Performing Media 1.1

E’ necessario, per me almeno, contestualizzare l’attenzione verso l’avanzamento tecnologico con il desiderio di trovare una misura di nuova sensibilità capace di tradurlo in opportunità di crescita, politica e poetica.
Per questo voglio delineare l’arco di un’esperienza d’osservazione che dalla radicalità estrema del virtuale possa arrivare alla pratica teatrale di autori capaci di creare situazioni di percezione condivisa.
Comprendere, dicevo all’inizio, significa fare esperienza insieme. E il teatro può far accadere questo.
Ma di quale teatro sto parlando?
Un teatro che è più dentro che fuori: che riguarda cioè la mia domanda di mondo (della sua trasformazione attraverso l’alterità) spinta da un desiderio di ricerca interno e alimentata da esperienze esterne che ne sollecitino la percezione.
Forse può essere utile sapere di come un critico teatrale come me, abbia rilanciato la propria domanda di mondo, migrando dal teatro al virtuale.
Nel 1991 provai per la prima volta un sistema di realtà virtuale immersiva e da allora mi sono reso conto che sarebbe cambiato qualcosa non solo nel mio modo di concepire la rappresentazione ma nell’assetto generale del rapporto tra uomo e tecnologie. Non era più solo una questione di macchine da usare per ottimizzare alcune funzioni ma di ambienti in cui riconfigurare il nostro rapporto con l’idea di mondo possibile.
Mi spiego: nella simulazione virtuale la mia percezione non era più quella su cui avevo fondato i criteri del punto di vista, la coscienza critica e analitica che valuta e misura.
Non ero più li a osservare. Ero dentro ciò che stavo vedendo.
Uno stato d’animo paradossalmente simile a quello che vivevo nel teatro migliore, quello che cerca, quello che spinge a cercare, che spinge verso l’alterità: verso l’altro, verso altro.
Ecco perché un critico teatrale come me è rimasto folgorato sulla via di Damasco del virtuale.
Gran parte del mio lavoro pubblicistico da allora si concentrò sull’osservazione di questo fenomeno, scrivendo (per La Stampa, per La Repubblica, dove uscì un mio ampio servizio su Il Venerdì nella primavera del 1992, e per L’Unità), organizzando eventi (il primo a Villa Medici per Mondi Riflessi, la rassegna video che curavo in quegli anni per il Festival RomaEuropa, dove presentai, per la prima volta in un contesto culturale, un sistema di realtà virtuale) e convegni (come quello di Torino, nel novembre 1992). Il problema delle realtà virtuali era (oltre ai costi per lo sviluppo, allora decisamente alti) quel casco stereoscopico che bloccava tutto in un’esperienza di assoluto isolamento solipsistico. Quando provai ad Ars Electronica di Linz il sistema Cave che permetteva di esplorare ambienti immersivi, permettendo un’azione libera nello spazio, iniziai ad interrogarmi sull’evoluzione teatrale di queste tecnologie. Il Cave evoca, non a caso, la caverna di Platone, dove viene posta in essere la contraddizione tra realtà e illusione, un ambiente in cui lo spettatore si fa attore della propria esperienza sensoriale e cognitiva al contempo. Altri sistemi virtuali come il Mandala System hanno, con altre procedure meno immersive (sviluppando le intuizioni di Myron Krueger sulla realtà artificiale >FORUM), reso possibile lo sviluppo dell’interazione tra il corpo e l’ambiente infografico, evolvendo quella condizione che riguarda l’interattività.
Mentre scrivo nel soggiorno della casa toscana dove si riunisce la famiglia per le vacanze natalizie vedo i miei nipoti (quelli da zio, non quelli da nonno a cui dedico il libro, ancora troppo piccoli) giocare con la playstation, ma questa volta non è la solita partita di calcio:è Eyetoy , un vero gioco interattivo in cui la telecamera (collegata via usb alla Playstation 2) ti riprende e ti porta nello schermo, dove puoi interagire con i vari elementi infografici, proprio come il Mandala System.

Il mondo del videogame riesce a far proprie le intuizioni della sperimentazioni digitali più avanzate che con il tempo da straordinarie che erano diventano ordinarie, come per quel gioco seriale, commerciale e comunque ludico-interattivo nel senso migliore del termine.
E’ come per quei kit domestici di teatro di marionette che possono accendere una “vocazione teatrale” come nel caso del Wilhem Meister di Goethe (>FORUM), comprendi in quei casi come la magia della rappresentazione più elementare possa accendere l’immaginario e l’empatia. Tra la tecnologia di stoffa e legno della marionetta e quella digitale può esserci in comune la stessa sensibilità artigiana e l’immaterialità della visione può scaturire comunque.
In questo senso credo proprio che possa essere contemplata una drammaturgia sia nell’ambito dell’interattività teatrale (dove le azioni interagiscono con le percezioni) che in quella multimediale, come in alcuni videogame in cui il giocatore-spettatore seleziona con il mouse le possibilità dello sviluppo narrativo.
Sia Brenda Laurel (in Computers as Theatre, 1991 >FORUM) sia Janet Murray (in Hamlet On the Holedeck,1997, protagonista del primo convegno sulla Scrittura Mutante alla Fiera del Libro del 2002) hanno trattato della questione in questi termini, determinando nei loro corsi universitari alla formazione culturale di una generazione di autori di videogame d’ottima strategia drammatrurgica.
Perché parlo di drammaturgia e non di sceneggiatura? Proprio perché c’è la condizione interattiva che il cinema non contempla. Nel progettare un videogame va considerata la mossa dell’altro, come nello sguardo teatrale. Nel cinema tutto si conclude nel punto di vista del regista e la sua abilità è nel farsi seguire; a teatro bisogna intercettare il punto di vita dello spettatore che seleziona gli eventi e li mixa tra loro, il montaggio finale lo fa lo spettatore.
E’ in questo senso che credo si possa parlare di drammaturgia dell’interattività.
E alcuni videogame ne rappresentano la conferma, offrendo al giocatore l’opportunità di costruirsi un proprio teatro degli eventi, una strategia di simulazione di cui essere co-autore attraverso uno sguardo che agisce nella visione.

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